Le nostre Daniela, Françoise e Davina alle prese con la prova generale per il mosaico gigante. Già solo a vedere le foto nella chat del gruppo nei giorni scorsi ci siamo emozionate. Tornare in Piazza del Sole a Bellinzona dopo un anno, incontrarci nuovamente, guardarci negli occhi. Riprendere il filo delle rivedicazioni, quel filo che ha una lunga storia nelle storie delle donne. Una linfa vitale che è cresciuta sugli alberi nelle città ticinesi.
Durante la chiusura totale delle attività – il lockdown – uomini, donne e bambini hanno percepito appieno quali siano le professioni della vita, le “attività essenziali” dell’economia senza le quali non sarebbe stato possibile curarsi – in tutte le sue dimensioni – e alimentarsi, in definitiva vivere. Proprio quelle professioni che nella scala dei salari sono in fondo, mal pagati, spesso su chiamata, dai turni massacranti, che non beneficiano di bonus e di formazione, difficilmente conciliabili. Per tre mesi la nostra vita è rimasta appesa alla loro capacità di assumersi il rischio, anche di ammalarsi. Il lavoro delle donne è stato illuminato da una tragedia collettiva, non più come “attività accessorie” ma come pilastro dell’economia della vita.
Anche quelle “attività essenziali” della quotidianità della cura della casa, delle persone malate, dei figli, della cucina, dell’educazione e delle relazioni hanno assunto un ruolo centrale. Si è sentita la mancanza della scuola, della cultura, delle amiche. Abbiamo imparato nell’emergenza a lavorare a distanza, ma non per tutte le condizioni sono state ideali. Non vorremmo che la nuova norma dell’home office avvantaggiasse solo le imprese e non chi lavora. La conciliabilità non è stare chiuse in casa, ma condividere responsabilità, possibilità di tempi flessibili ma non precari. Per alcune giovani coppie è stata un’esperienza anche una bella di condivisione dei carichi familiari. Per altre, dove le tensioni e la violenza erano già la cifra della relazione, è diventato un inferno. Un inferno per chi in piccoli spazi ha dovuto condividere lavoro, scuola, cura, cucina, pulizie.
Nel 1991 con lo slogan “Se le donne vogliono, tutto si ferma!” avevamo perfettamente in chiaro di cosa stavamo parlando. Durante la pandemia le donne non hanno voluto fermarsi, e i tributi pubblici e gli applausi non bastano. Anzi, talvolta diventano irritanti e un po’ paternalisti.
Ci siamo consolati pensando che Andrà tutto bene, che Ne usciremo migliori. I primi segnali non sono stati rallegranti, con tutte quelle trasmissione #tuttimaschi a raccontarci il nostro vissuto. Ma dobbiamo farcela, unite nelle nostre richieste, anche irriverenti se necessario nel combattere quelle forze che vorrebbero “rimetterci al nostro posto”.
Noi chiediamo RISPETTO, e ci prepariamo, assieme, ognuna con una tessera del mosaico. Perché tutte noi abbiamo valore.