Il 14 giugno 2023 abbiamo scioperato in tutta la Svizzera e portato diverse rivendicazioni femministe. Ecco i discorsi che si sono tenuti in Piazza Governo a Bellinzona.
Disparità salariale – Samanta Coduzzo
È tristemente risaputo che in Svizzera, ancora oggi, noi donne guadagniamo in media il 18% in meno rispetto ai colleghi uomini; anche a parità di condizioni lavorative, di formazione e di competenze.
Molte di noi si trovano infatti confrontate con carriere lavorative interrotte, per maternità o per la necessità di diminuire il proprio onere lavorativo per occuparsi dei figli oppure dei genitori anziani o malati. Molte di noi sono invece assunte per svolgere i lavori meno retribuiti.
Le discriminazioni salariali sul mercato del lavoro si traducono inevitabilmente anche in una discriminazione a livello pensionistico, che sono maggiori in seno al secondo pilastro, rispetto all’AVS. In media le donne hanno pensioni del 37% inferiori a quelle degli uomini; del resto, se si guadagna meno, vi sono poche speranze che si possano avere pensioni migliori.
La difesa delle rendite di cassa pensione, per la quale dobbiamo continuare a batterci, necessita una particolare attenzione alla situazione di noi lavoratrici donne: subiamo discriminazioni ancora più profonde di quelle subite dai nostri colleghi uomini!
Come se non bastasse, dopo l’AVS 21, ora si inizia a discutere di farci lavorare fino ai 66 anni, ma nessuno parla di aumentarci gli stipendi, di darci quanto la legge già prevede sia nostro. Nessuno parla nemmeno di attuare delle politiche di conciliabilità tra lavoro e famiglia, al fine di farci uscire dalla trappola del tempo parziale e di quella che ne consegue, ovvero di un maggiore rischio di povertà.
E che allora nessuno si vergogni ad ammettere che ci stanno derubando, in fatto di stipendi, di pensioni e di tempo. E quindi tutte insieme dobbiamo opporci a quest’ennesimo tentativo di imporci nuovi doveri, senza riconoscerci i nostri diritti.
Ora mi chiedo: ci sono voluti 62 anni per ottenere il suffragio femminile, 86 anni per l‘assicurazione maternità e 88 anni per la parità nel diritto matrimoniale. Quanto ci vorrà ancora per la parità salariale? Noi siamo stufe ed esigiamo ciò che è nostro adesso.
Conciliazione Lavoro-Famiglia – Eleonora Failla
Tra le varie rivendicazioni di questo sciopero, c’è anche il giusto riconoscimento del cosiddetto lavoro invisibile. Che cos’è il lavoro invisibile? È il lavoro domestico, di cura dei figli e di assistenza a familiari malati/bisognosi. E sapete chi svolge in larga maggioranza questo tipo di lavoro? Le donne… _E sapete quanto vengono pagate? ZERO
Non voglio annoiarvi con numeri e statistiche ma vorrei darvi qualche cifra per farvi capire l’importanza/rilevanza sociale ed economica di questo fenomeno. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica le donne svolgono il 60% delle ore di lavoro non remunerato, gli uomini il 39,5%. E’ _stato stimato anche un valore monetario complessivo di questo lavoro pari a 434 miliardi di franchi. Per anni, anzi secoli, siamo state relegate ai lavori di casa, di cura, perché è nella nostra natura, siamo nate per fare questo (direbbe qualcuno) e quello è il nostro posto (a casa). Ma davvero nel 2023, nell’era digitale, tecnologica, dell’intelligenza artificiale, io debba pensare che un uomo non sia in grado di attivare una lavatrice, pulire i piatti o prendersi cura dei propri figli? Eppure, tra gli uomini qui presenti in piazza vedo che siete tutti dotati di due braccia e due mani. Quanto è importante quindi la condivisione (non l’aiuto), l’equa suddivisione di questo lavoro non retribuito? Tantissimo, e richiede un importante cambiamento di mentalità, culturale che in parte è iniziato a concretizzarsi. Ma non basta, è fondamentale anche il riconoscimento di questo lavoro. Dare un valore a tutto ciò che le donne svolgono in silenzio, invisibili agli occhi della società, ma estremamente essenziale all’esistenza stessa della società. Le donne spesso si sostituiscono allo Stato, sopperiscono alle lacune sociali, di politiche di welfare insufficienti, e questo fa comodo alla società intera che ne abusa e approfitta. Oggi le donne scioperano sul posto di lavoro ma anche a casa, scioperano da questo lavoro invisibile. Non accettiamo più di essere schiave del patriarcato che ci vuole perfette donne di casa ad accudire la prole senza nessun tipo di legittimazione, pretendiamo venga finalmente riconosciuto il nostro lavoro domestico e di cura al pari di quello retribuito non domani, o tra qualche giorno perché “ci sono cose più importanti”, ma ORA/ADESSO/SUBITO!
AVS – Rafforzamento immediato dell’AVS e abolizione del sistema pensionistico a 3 pilastri in favore di un sistema a pilastro unico – Anita testa Madler e Sonja Crivelli
Sonja e io siamo 2 pensionate fortunate. Siamo state attive nel settore pubblico, e siamo pensionate da tempo, con una rendita dignitosa. Ma purtroppo negli ultimi anni, anche nel settore pubblico e parastatale stiamo assistendo a un intensificarsi di proposte che mirano a ridurre le pensioni, come hanno ribadito tante lavoratrici e lavoratori durante la giornata di mobilitazione promossa poche settimane fa dalla “Rete per la difesa delle pensioni” dell’Istituto di previdenza del Canton Ticino. Se allarghiamo lo sguardo alla Svizzera, sappiamo che le donne pensionate ricevono complessivamente oltre un terzo in meno degli uomini. Come ricorda l’Unione sindacale svizzera, è come se quotidianamente, per tutta la vita, le donne lavorassero per quasi due ore e mezzo al giorno senza che questo venga conteggiato ai fini della pensione! E parliamo anche del futuro: la prevista riforma della Legge sulla previdenza professionale, contro cui è stato lanciato un referendum, è una riforma antisociale che costringe le lavoratrici e i lavoratori a pagare di più in cambio di una rendita minore, aggravando così le situazioni di precariato e impoverimento di molte donne.
Noi diciamo – e lo ripeteremo fino a quando sarà necessario – che questi peggioramenti sono inaccettabili, anche tenendo conto del fatto che le donne svolgono, accanto alla professione, la maggior parte del lavoro domestico e del lavoro di cura – materiale, educativo, emotivo- nei confronti di figlie, figli, genitori e altre persone. È un lavoro poco considerato, ma indispensabile per la vita di tutte e tutti a tutte le età. È un lavoro che dura tutta la vita e, quando si è in pensione, assume nuove forme e a volte maggior intensità, basti pensare al
ruolo delle nonne e dei nonni e alle innumerevoli ore di volontariato. E si dimentica troppo spesso quanto tutto questo lavoro gratuito, nel nostro mondo economico neoliberista, faccia risparmiare soldi e investimenti allo stato e all’economia. Dall’altro lato anche gli attacchi all’AVS si susseguono da anni: dopo tanti tentativi, la riforma AVS 21 ha decretato l’aumento dell’età pensionabile delle donne, senza tener conto di tutte le discriminazioni durante la vita professionale che ben conosciamo, pensiamo solo alle differenze salariali. Altre proposte recenti richiedono un aumento dell’età pensionabile a 66 anni per tutte e tutti e una modifica della rendita di vedovanza basata sul principio della “parità al contrario”, che significa peggiorare la situazione delle donne invece di migliorare quella degli uomini. Alla luce di quanto detto, appare logico e corretto affermare e confermare il fallimento del nostro sistema pensionistico.
Ed appare più che mai attuale quanto rivendicato nel Manifesto dello sciopero di oggi, perché non serve fare solo piccoli e nefasti ritocchi al sistema.
Pertanto:
- A breve termine, chiediamo che la rendita di vedovanza venga estesa a tutte le persone vedove e a tutti i genitori, indipendentemente dal genere.
- Ci opponiamo alla riforma della LPP21, che rafforza il 2° pilastro e chiediamo invece il rafforzamento dell’AVS, a partire dall’adozione di una tredicesima mensilità AVS.
- A lungo termine, chiediamo l’abolizione del sistema pensionistico a 3 pilastri e la creazione di un unico pilastro pensionistico pubblico e solidale basato sul modello dell’AVS che garantisca un tenore di vita dignitoso, nonché un aumento delle rendite e un abbassamento generale dell’età pensionabile per tutte le persone. E vogliamo che il lavoro di cura svolto gratuitamente sia riconosciuto e considerato alla pari del lavoro retribuito nel calcolo di tutte le rendite.
Misure sistematiche per combattere le violenze sessuali e di genere su scala nazionale – Barbara Stämpfli, Consultorio delle Donne
Chi siamo:
Siamo uno spazio di libertà per accogliere le donne che subiscono o hanno subito violenza, indipendentemente dalla loro nazionalità, provenienza, religione, orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica.
Cosa è importante per l’accoglienza e la presa a carico:
considerare l’importanza della centralità dal punto di vista della donna vittima di violenza nella ricerca di soluzioni e risposte al suo problema. Non viene avviato un percorso di cambiamento di sè, ma la realizzazione di sè. Alle donne non vengono offerte soluzioni precostituite, ma un sostegno specifico e informazioni adeguate, in modo che possano trovare la soluzione adatta a sé e alla propria situazione. Ogni azione (denuncia, separazione, attivazione dei servizi, scuola per i bambini, ecc) viene intrapresa solo con il consenso della donna si elabora con loro un processo di rafforzamento per riguadagnare potere e controllo sulle proprie vite è importante lavorare sempre per il suo vantaggio, attraverso una modalità che consenta alla donna di parlare di sé, offrendole di credere in se stessa, di comunicarle protezione e riservatezza. Non ci deve mai essere un giudizio da parte delle educatrici o di altre figure professionali.
Insieme alle operatrici è possibile condividere una riprogettazione della propria vita.
Rivendichiamo:
- Rivendichiamo che le donne che subiscono violenza psicologica, economica, fisica, sessuale, stalking siano cittadine a pieno titolo, con il diritto di essere libere dalla violenza, di essere credute e non giudicate dalla morale del momento, di poter essere autonome, di poter lavorare, avere una casa, di potersi esprimere liberamente.
- rivendichiamo che le loro figlie e figli non debbano assistere alla violenza e vivere nella paura o nel silenzio
- rivendichiamo che si consideri la violenza domestica e di genere non come una questione privata ma come un problema politico che comprende tutta la società.
- rivendichiamo che la prevenzione possa diventare la chiave di volta per il cambiamento nella società e la progressiva eliminazione della violenza di genere. Prevenire la violenza significa combattere le sue radici culturali e le cause che le originano.
- rivendichiamo che vengano attuati più progetti mirati alla formazione a tutte quelle persone, che a vario titolo, si occupano del fenomeno della violenza domestica e di genere
- rivendichiamo che sul posto di lavoro, che spesso è connottato da un clima di incertezza e di precarietà che le donne subiscono, diventi bersaglio di atti di molestie alle quali le donne spesso non hanno strumenti per difendersi
- rivendichiamo di ottenere un numero unico a tre cifre a livello federale: in fase disviluppo (2025?
Piano cantonale d’azione sulla violenza domestica: alcune proposte in fase di sviluppo per la prevenzione
- Azioni di sensibilizzazione nei comuni del Cantone attraverso serate informative;
- Formazione per avvocati e praticanti, magistrati e giuristi, in ambito di violenza domestica;
- Sostenere e rafforzare le strutture del territorio che garantiscono la presa a carico di persone toccate dalla violenza domestica;
- Rendere le farmacie punti di contatto/segnalazione e richiesta d’aiuto per le vittime;
- L’attivazione di un codice nei pronto soccorso per le donne che arrivano in
ospedale dopo una violenza.
I progetti menzionati nel piano cantonale vengono attuati in collaborazione con i consultori e casa delle donne del Cantone.
Spero di aver raccontato in breve il lavoro che le educatrici dell’Associazione svolgono ogni giorno; un lavoro non sempre visibile, certe volte criticato, e purtroppo spesso non conosciuto.
Salute sessuale, l’abolizione del sistema di assicurazione sanitaria privata e la presa a carico della salute sessuale e riproduttiva – Federica Nike, infermiera consulente sessuale
Un saluto a tutte le persone che sono qui oggi, mi chiamo Federica Nike e sono un’infermiera consulente sessuale. Secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, La sessualità comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità è vissuta ed espressa in pensieri, fantasie, desideri, convinzioni, atteggiamenti, valori, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni. La sessualità è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, culturali, etici, giuridici, storici, religiosi e spirituali.» Questa definizione ci fa riflettere sul fatto che la sessualità è un aspetto centrale durante l’arco della vita delle persone, ed è una sfera molto importante delle nostre vite, che ci accompagna fin dai primi anni della nostra esistenza e si compone di una moltitudine di elementi che coinvolgono vari aspetti, non solo riproduttivi. La sessualità va quindi sostenuta e tutelata. La salute sessuale, che in Ticino viene promossa da varie persone e istituzioni in vari contesti a dipendenza del bisogno, informa le persone e le sostiene, mantenendo l’impegno che la salute sessuale venga raggiunta e mantenuta, e che i diritti sessuali di ognuno vengano rispettati, protetti e soddisfatti. Al contempo però vi sono una moltitudine di problematiche sessuali che possono manifestarsi, e la loro causalità è spesso multifattoriale. L’approccio diagnostico e la presa a carico sono interdisciplinari. Ma quindi se una persona sviluppasse una problematica in ambito sessuale? Ad esempio, legata all’orgasmo, al dolore, al desiderio, o tanto altro, la cassa malati sosterrebbe gli incontri di consulenza per l’identificazione della problematica e in seguito le terapie sessuali per la risoluzione del problema? E la risposta è no. Una persona che si trova in questa situazione potrebbe essere scoraggiata a intraprendere un percorso in quanto si deve assumere in modo autonomo i costi della salute in ambito sessuale. Il manifesto dello sciopero di oggi, parla chiaro. Chiediamo una cassa malati che copra i costi della salute riproduttiva e sessuale, e che garantisca a tutti l’accesso libero e incondizionato alle cure di qualità. La salute sessuale necessita di promozione e prevenzione, va condivisa e tutelata. Parliamone e confrontiamoci per sostenerci. Ma chiediamo anche un sostegno in ambito economico da parte delle casse malati.
Omofobia Un piano nazionale di lotta e di risorse contro le discriminazioni razziste, xenofobe, queerfobiche, abiliste e grassofobiche, con un budget nazionale permanente e conseguente – Arianna Lucia Vassere
Imbarco Immediato è un’associazione che rappresenta la comunità LGBTQIA+ in Ticino e che si pone come obiettivo quello di creare occasioni di incontro, dove le persone possano sentirsi libere di essere e di amare. Al suo interno è attivo il gruppo Gender Freedom, aperto a tutte le persone che si confrontano da vicino o da lontano con le questioni di genere.
In questi anni, come comunità, abbiamo lottato, rivendicato e ottenuto, perché le discriminazioni basate sull’identità di genere e l’orientamento sessuale sono reali, tangibili, parte della vita quotidiana delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex, asessuali e che, in generale, sentono di appartenere alla comunità LGBTQIA+. Basti pensare agli sguardi che riceviamo quando ci teniamo per mano o alla paura di fare coming out nei contesti famigliare e lavorativo.
L’omotransfobia, intesa come l’avversione per le persone omosessuali e transgender, è una forma di paura e di odio nei confronti di chi non si riconosce nell’ordine etero normativo ed esprime un’identità di genere che non corrisponde a quella assegnata alla nascita, al sesso biologico. Parliamo di persone che la società non riesce a ingabbiare o incasellare in categorie binarie, prestabilite e rigide, più facili da immaginare e da gestire.
Con l’entrata in vigore dell’Art. 261bis, sul tema della discriminazione e dell’incitamento all’odio, nel 2020 il Codice penale svizzero ha riconosciuto che “chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone anche per il loro orientamento sessuale” debba essere punito. Ma non possiamo ancora dire di vivere in una società che tutela e riconosce pienamente il diritto delle persone LGBTQIA+ a esistere in quanto tali, senza giudizi o discriminazioni.
Ci sono baci che non ci diamo per paura di essere giudicate, sguardi e abbracci che nascondiamo, amori che non dichiariamo.
Perché è importante parlare a nome di Imbarco Immediato e Gender Freedom, in una giornata come quella del 14 giugno? Perché è fondamentale parlare per tutte le donne lesbiche ma anche per tutte le donne trans, che hanno dovuto lottare e stanno ancora lottando per rivendicare il loro diritto a esistere, dopo essere nate in un corpo che non le rappresentava.
Donne che devono alzarsi ogni giorno chiedendo alla società in cui vivono di riconoscere il loro modo di essere e di esistere. Donne che da alcune persone non vengono nemmeno riconosciute come tali. Qui le vogliamo chiamare, vedere e valorizzare tutte. Citando una grande giornalista, Rebecca Solnit, “il femminismo deve difendere [sempre] anche le donne trans“.
Noi, come donne lesbiche, come comunità, come femministe in formazione, sosteniamo l’idea di un femminismo “intersezionale”, fluido; un femminismo che va oltre il costrutto di genere, attento alle interconnessioni tra i diversi tipi di oppressioni e discriminazioni esistenti, come quelle di genere, etnia, classe, identità e orientamento sessuale o disabilità. Siamo donne a rischio di diventare vittime di una discriminazione multipla.
Siamo donne che, come le altre, cercano di conciliare la vita famigliare con quella lavorativa. Donne che chiedono di vedere maggiormente valorizzato il loro lavoro, che vogliono mettere fine alle molestie e al sessismo. Donne che hanno bisogno di più tempo, aiuto e risorse per accudire e curare le persone a loro care.
Siamo donne che amano altre donne e siamo felici di farlo. Grazie.
Abilismo – Denise Carniel
Io non sono uguale, io non sono normale, io sono diversa. Sono diversa perché mi piace essere onesta, sono diversa perché mi piace salutare sempre con un sorriso le persone che mi stanno intorno, sono anacronistica forse nello sperare che puoi ottenere, se doni gentilezza, puoi ottenerne. Sono diversa perché attendo i semafori verdi prima di passare, e mi fermo tanto tanto spesso, a chiacchierare con chi è anziano e non guardo il cellulare, quando devo parlare. Sono diversa perché parlo chiaro, e sono una persona trasparente, nella vita. E sono diverso perché troppo volte, quando sei così, gli altri pensano che tu bleffi: perché è da normali tramare alle spalle, non fare attenzione al tuo prossimo o pensare sempre al proprio tornaconto. In una società che stigmatizza e cesella con strumenti sempre più raffinati la finzione, tutto ciò che fluisce normalmente è messo al bando e perché? Perché è anormale.
Ma essere diversi è un modo di esprimere ciò che diversamente ti cova dentro, è dirsi ti accolgo, ti capisco, ti riconosco, con le lacrime di commozione ai lati del cuore, significa poter dire sei bello, scusami, e anche se non ci conosciamo sentirci al sicuro, in un abbraccio, è questo quello che abbiamo bisogno di sentire. In questo senso l’intersezionalità è una parola che ci aiuta a capire che tutti i pregiudizi, tutte le discriminazioni, devono avere poi alla base, lo stesso spirito per cercare di annientarle. Io in quanto donna disabile bianca eterosessuale so di avere una condizione di privilegio a confronto di una donna disabile nera, appartenente alla comunità lgbtqaplus, ma so anche che le nostre battaglie, il nostro voler trovare un posto non abilista, che non ci sottostimi, che ci dia la libertà a 360 gradi, che capisca che l’uguaglianza non è equa, è un desiderio comune. Il mio problema non sono solo le barriere architettoniche, ma sono le barriere di un sistema che ancora troppo spesso non è capace di prendere a cuore, prendersi cura dei più deboli. Non è capace di fare rete tra le varie istituzioni per dare una informazione precisa e comune, di chiunque si trovi nel bisogno. Non vede il problema se non quando diventa una notizia in prima pagina, e dopo i primi giorni di scoop si accontenta che sia lettera morta, la quodianità di chi, come noi, ha imparato ad accontentarsi. Io dico basta, perché se è vero che una donna povera e una donna ricca sono entrambe discriminate quanto donne, una donna ricca ha gli strumenti da quella discriminazione. Se si considerano i problemi come ciascuno in modo isolato non si risolveranno mai, ma anzi spesso si ritrovano i vari pregiudizi quasi uno contro l’altro, ma se sai che sono figli del patriarcato capitalista, li affronti tutti insieme, perché hai lo stesso nemico. Trattasi di lettura della lotta in modo nuovo. È ora di trovare linguaggi comuni, è ora che le organizzazioni del dissenso si uniscano per essere organizzate nel far sentire la nostra voce. Alla fine, credo che sia ora di capire che non esista una verità sola, ma è bello coglierne tantissime. E trovare mediazione e convivenza. Capiamo che fare la cosa giusta vuol dire anche arrivare a dare un messaggio di comunità vera. Equilibrio tra essere categorici e flessibili. In questo mondo in cui l’autocensura è per non ferire e la censura è quando non vai bene al sistema, cercate chi sta combattendo e siate ottimi compagni di strada, non pensando di sapere tutto, ma di dare tutto, contro il pregiudizio che occlude, siate quel traghetto che porta verso strade nuove, siate colore, siate il problema se serve a fare emergere un’emergenza, siate la soluzione gentile, il dialogo proattivo, credete nel bene al di fuori di ogni ideologia e colore, siate cambiamento, onda, meraviglia. Siate voi, sempre e comunque. In quanto umanità. Che splende.
Buona lotta, buon cammino, buon 14 giugno anche domani, buon tutto, a tutti.
L’asilo femminista e i permessi di soggiorno – Lettura di una testimonianza anonima
Sono arrivata qui in Ticino 6 anni fa. Nel mio paese ho studiato diritto. Una volta arrivata in Svizzera però non ho fatto la procedura per il riconoscimento del mio titolo di lavoro; il percorso sarebbe stato molto lungo e complicato, con corsi in svizzera francese e altre difficoltà logistiche. Questa inaccessibilità al riconoscimento del titolo di lavoro è infatti un ostacolo, soprattutto per noi donne professioniste migranti che spesso abbiamo dovuto già lottare nel nostro paese per accedere all’educazione. Quindi qui in Ticino mi sono arrangiata e trovato il lavoro più accessibile per noi donne che è nel settore della cura. Il settore della cura resta tuttora un settore al femminile, con una maggioranza di lavoratrici con passato migratorio e purtroppo una realtà lavorativa sottopagata.
Sono sicura che se nel settore della cura lavorassero per la maggior parte uomini svizzeri gli stipendi sarebbero più alti. Ne sono certa.
Mi ricordo di una volta che al lavoro stavo leggendo il giornale agli anziani e c’era una notizia su un reato. Loro mi hanno subito chiesto il nome della persona che aveva lo aveva commesso, specificando “siamo sicuri che si tratti di uno straniero”.
Dopodiché si sono resi conto che anche io sono una “straniera”, e hanno aggiunto:
“Comunque tu sei straniera…ma sei brava!” Sono quindi le brave migranti, le brave donne, ciò di cui il sistema ha bisogno.Io sono una cittadina e se io lavoro e contribuisco alla crescita economica di questo paese (e perdipiù nella cura della vita), anche io posso assolutamente mettere in discussione il sistema capitalista che ci sfinisce.
Io dico sempre che nel paese da cui vengo è la dittatura che ci uccide, in piazza, solo perché chiediamo la difesa dei nostri diritti fondamentali, ma qua è il sistema capitalista che poco a poco ti ammazza con orari invivibili, salari bassi, burn out dovuti all’esaurimento sul posto di lavoro.
Durante il covid ci hanno tanto applaudite e festeggiate, ma da lì non è cambiato niente. Io conosco anche la realtà del lavoro nella pulizia, perché ci lavoro a stretto contatto. Lì lavorano molte donne che vengono dall’Europa dell’est e dall’America latina. In questo contesto lavorativo, capita che vengano fatturate meno ore di quelle effettuate, non le registrano proprio. Con condizioni di lavoro assurde: spesso più di 10 ore al giorno con soli 10 minuti di pausa. E pagate, o meglio sottopagate, solo per 8 ore. E io mi chiedo allora…dov’è la svizzera democratica, la svizzera aperta? I diritti dei lavoratori esistono ma solo per i cittadini di prima classe. Noi donne migranti siamo considerate cittadine di seconda categoria.
Per quanto riguarda il percorso di naturalizzazione, ci sono varie cose che mi stupiscono.
Innanzitutto, c’è una grande procedura che ha a che vedere con la polizia, con le forze dell’ordine, che francamente non capisco cosa c’entra in questo caso.
Poi ti chiedono “perché vuoi diventare svizzera?”
ti chiedono se condividi i valori che la Svizzera ha come democrazia, come se questo non fosse un valore universale, un valore che tutte e tutti condividiamo.
Poi tante domande assurde come sai cosa è la Rivella, elencare che tipi di cioccolato esistono in Svizzera…
E sempre, purtroppo, la naturalizzazione è legata ad un contratto matrimoniale. Non veniamo mai considerate come persone singole nella nostra integralità.
Mi ricordo che all’inizio, nei miei primi colloqui di lavoro, mi chiedevano se mio marito fosse svizzero e quando sentivano la risposta positiva, cambiavano subito atteggiamento nei miei confronti.
Il razzismo in questo paese è strutturale e credo che lo viviamo ogni giorno.
Siamo inserite in una realtà in cui i nostri diritti sociali e politici vengono messi in secondo piano perché siamo considerate cittadine di seconda categoria. Il sistema ci esclude già per essere donne, essere donna migrante ci mette in un gradino ancora più basso.
Inclusione per me vuol dire aprirsi alla realtà dell’altro ma anche l’altro, come società, si deve aprire ai miei bisogni, ai miei sogni anche.
Mi piacerebbe che fossimo considerati esseri umani, che non ci fossero queste categorie imposte dal sistema. L’utopia resta l’uguaglianza, tra tutte le persone, al di là di tutto.
Ecofemminismo – Selina Stamponi
Ciao!
Tra le rivendicazioni del manifesto femminista ce n’è una che chiede il riconoscimento dell’emergenza climatica, nonché un piano d’azione nazionale e misure per il clima come investimenti in tecnologie sostenibili e strategie globali per la giustizia climatica; chiede sanzioni e vincoli per le multinazionali e le imprese e un cambiamento del sistema economico che non vada più a beneficio di solo una ridottissima parte della popolazione.
Ma perché per il movimento femminista è così importante anche la lotta contro la crisi climatica?
Perché queste sono due lotte che sono legate tra loro e vanno combattute insieme.
Le donne e la natura sono vittime dello stesso sistema di oppressione e sfruttamento. Questo sistema, che purtroppo è ancora attuale, è il sistema capitalista e patriarcale che è basato su un modo di pensare gerarchico e dualistico e punta alla dominazione e al controllo della natura e delle persone (le donne ancora di più) per sfruttarle il più possibile. Le donne e la natura vengono considerate come risorse da sfruttare, sottomettere e conquistare. Bisogna demolire questa logica di sfruttamento che opprime allo stesso modo le donne e la natura e per farlo bisogna lottare insieme.
La lotta contro la crisi climatica è una lotta contro il sistema che l’ha causata (e la causa ancora oggi) che è lo stesso sistema che sottomette e opprime le donne. Per questo è importante che la lotta femminista e la lotta contro la crisi climatica vengano portate avanti insieme.
Mi hanno fatto notare che sono la più giovane su questo palco. Sono qui perché ho il diritto di avere un futuro dignitoso su un pianeta vivibile in cui tutte le persone hanno gli stessi diritti.
Lo so che è difficile continuare a lottare quando non si viene ascoltatə e non si vedono i risultati, ma non dobbiamo lasciare che l’inattività politica ci fermi, non dobbiamo arrenderci! Continuiamo a lottare per i nostri diritti e per i diritti del pianeta!
Grazie
Educazione
E proprio dalla scuola che bisogna partire per cambiare la nostra società
Siamo Infatti convinte che se venisse integrato sin da subito il femminismo intersezionale nella formazione e nell’educazione molte di queste problematiche potrebbero finalmente scomparire. Diffondiamo nelle scuole un’educazione alla sessualità basata sul consenso e sul rispetto e una educazione all’inclusività
perché la nostra cultura va cambiata grazie alla scuola pubblica!!!