A due giorni dallo sciopero del 14 giugno ho ascoltato con attenzione la trasmissione “Controcorrente” di oggi alla Rsi. Nei numerosi interventi di ascoltatrici e ascoltatori sono stati sollevati degli interrogativi sull’opportunità di uno strumento come lo sciopero e soprattutto di uno sciopero “femminista”.
Ancora una volta il termine femminismo è considerato qualcosa di negativo, o comunque da giustificare, da definire, da meglio precisare.
Personalmente ho partecipato ai movimenti femministi degli anni Settanta e negli ultimi dieci anni mi sono spesso definita una “nonna femminista”. E senza un filo di vergogna.
Riferendomi alle mie esperienze ho scritto: “mi sento di dire che il femminismo è stato parte integrante della mia vita, ha influenzato l’educazione delle mie figlie, la mia vita di coppia, le relazioni con le amiche e con colleghe e colleghi di lavoro, il mio lavoro politico. E alla radice del mio diventare femminista vi è stata la profonda convinzione che lottare per una società diversa implica affermare il diritto di ogni persona di poter fare delle scelte veramente libere, non condizionate da vincoli economici, sociali e razziali o da discriminazioni sessuali” (Quaderno del Movimento AvaEva, Percorsi di donne, educazione e valori. Confronti e dialoghi intergenerazionali. A cura di Sonja Crivelli, Margherita Tavarini-Pedretti, Anita Testa-Mader, maggio 2023).
Ecco, anche se è vero che nel femminismo vi sono stati negli anni e nei decenni diversi approcci teorici, organizzativi e di modalità di azione, credo che per molte donne della nostra generazione vi sia stata la consapevolezza comune del desiderio e della necessità di un cambiamento complessivo, che andasse oltre le rivendicazioni di tipo ugualitario. Convinte anche che senza questo cambiamento ogni piccola conquista di tipo legislativo, che pure c’è stata, sia sempre qualcosa che da un giorno all’altro può essere rimesso in discussione.
Pensiamo solo alle politiche di austerità che ovunque comportano tagli che toccano in modo importante le donne (asili nido, rendite, ecc.). E siamo sempre confrontate a strenue resistenze contro gli sforzi per andare verso una reale parità salariale nelle aziende o per l’introduzione di migliori congedi maternità o parentali.
Ma femminismo è riflettere anche sulle relazioni tra queste politiche e tutto il lavoro domestico e di cura nascosto e gratuito delle donne; è riflettere sulle attuali relazioni di coppia, sulla condivisione tra partner nella gestione materiale ed educativa di figli e figlie, sulla sessualità, sulla violenza, sui valori, sugli stereotipi.
E femminismo è capire che quello delle rivendicazioni concrete e quello dei cambiamenti “culturali” o “di mentalità”, non sono due ambiti separati, ma sono entrambi parte integrante di un progetto che modifichi radicalmente i rapporti nella società.
Non solo per noi, ma per la generazione delle nostre figlie, dei nostri figli e soprattutto delle nostre e dei nostri nipoti.
Per questi motivi ho partecipato allo sciopero del 1991, a quello del 2019 e sarò in piazza il 14 giugno 2023, convinta che il termine femminista sia più che mai inclusivo e attuale.
Anita Testa-Mader