Il corteo partito da Piazza del Sole a Bellinzona si è snodato in città fino a Piazza Governo, proponendo diversi interventi.
Abbiamo raccolto quello di Demirci Gülsüm intervenuta in Piazza Governo a cui sono seguiti dei balli
“Nateil14 giugno” – Bellinzona, 14 giugno 2021
ore 18.00
Il tema della cura è sempre stato un tema di confronto dialettico fra donne e nelle sue svariate sfumature.
Ma …. cosa vuol dire cura?
Secondo il vocabolario Treccani – alla voce “cura” si può leggere – nelle prime righe – quanto segue e che qui cito: “ cura è interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività: dedicare ogni c. alla famiglia, all’educazione dei figli, ai propri interessi; avere c., prendersi c. di qualcuno o di qualche cosa, occuparsene attivamente, provvedere alle sue necessità, alla sua conservazione… …
Noi donne sappiamo e siamo consapevoli di tutto il valore e l’impegno di queste occupazioni, perché le pratichiamo.
Noi diciamo che è lavoro, il lavoro della cura. Ed è un lavoro non remunerato.
Ma cosa è il lavoro? Cosa vuol dire “lavoro”?
Prendo in prestito le parole di Giulia Blasi, apparse in un recente articolo sulla necessità di riformare il concetto stesso di “lavoro”.
Cito: … “La stessa idea che il lavoro debba essere il fondamento di un paese, e aggiungo io dell’identità stessa delle persone, è tanto poetica quanto fragile (c’è chi il lavoro non ce l’ha) ……. Continuo con la citazione: .. Il lavoro, inteso come attività che produce reddito al di fuori delle mura domestiche (è lavoro anche quello di cura, in gran parte a carico delle donne: ma tendiamo a darlo per scontato) è assunto come valore positivo in assoluto. Chi lavora contribuisce al benessere collettivo….”
Soffermiamoci sul lavoro di cura delle donne: perché è dato per scontato? Perché, in questa nostra società capitalista e patriarcale, un compito così ricco di significato e che contribuisce al benessere collettivo non è considerato? Perché il nostro contributo alla costruzione del paese, attraverso la cura, viene poco condiviso?
L’esperienza più recente che abbiamo vissuto e che ci ha viste accomunate in una ricerca di equilibrio organizzativo, affettivo ed emotivo e quindi anche nella cura è stato durante il periodo acuto della pandemia, il lockdown.
L’esercizio in questo periodo è stato per me ancora più difficile.
La situazione è cambiata talmente in fretta che ho dovuto adattare tutto in casa: l’appartamento è diventato l’unico luogo e contesto di vita. Nei 3 locali del mio appartamento si faceva di tutto. C’erano il mio lavoro a domicilio, la scuola a domicilio, ogni attività di tempo libero, lezioni di musica a distanza e poi, naturalmente, tutte le altre attività che permettono di tenere la casa accogliente e pulita. Oltre a questo, quando andavo a fare la spesa per tutte le persone anziane del palazzo (5 coppie), dovevo avere precauzione per il contagio, fatto che non mi lasciava spontaneità.
Ma noi donne abbiamo affrontiamo e superiamo ogni ostacolo – anche durante la pandemia. Sappiamo giostrare con i tempi, senza perdere di vista l’insieme in ogni contesto e momento ma siamo stufe. Siamo proprio stufe.
Da tempo vogliamo il riconoscimento del lavoro di cura. E noi donne di ogni età lo rivendichiamo perché le fasi della vita ci confrontano generalmente con la cura dei figli, dei genitori, delle persone anziane della famiglia e delle cose che ci circondano. Tutto questo va conciliato con il tempo della professione, quella che ci permette di mantenerci.
Senza parlare poi dell’attenzione particolare alle relazioni all’interno della famiglia, delle amicizie e a quelle intergenerazionali.
E non dimentichiamo che ci siamo anche noi stesse che abbiamo diritto a curarci.
Il lavoro di cura si intreccia quindi con tutto il nostro quotidiano e – lo ripeteremo fino alla nausea – è lavoro che utile alla società intera e non è per nulla una questione privata.
E’ lavoro sommerso, non pagato che fa risparmiare soldi alla società civile. Solo alcune cifre: secondo l’Ufficio Federale di Statistica, nel 2016 il lavoro non remunerato (quasi interamente sulle spalle delle donne) è stato di 9,2 miliardi di ore ed è stimato a 408 miliardi di franchi, cifra che supera quella del lavoro retribuito!
E allora perché parificare l’età della pensione e del diritto dell’AVS per le donne a 65 anni come gli uomini?
E’ di questi giorni l’approvazione da parte delle Camere federali del progetto di parificazione donne- uomo dell’età di pensionamento.
Ma non ci lasciamo intimorire: raccoglieremo le firme per il referendum e ci batteremo con determinazione contro questo schiaffo ricevuto e che brucia.
L’essenza delle nostre rivendicazioni è ben riassunta nella manifesto dello sciopero di 2 anni fa, che qui – pur ripetendomi – sintetizzo, sperando di non fare torto alle donne che insieme lo hanno redatto:
- vogliamo che il lavoro domestico, educativo e di cura, così come il suo carico mentale, siano riconosciuti e condivisi. Il carico fisico e mentale del lavoro domestico e di cura è indispensabile al funzionamento stesso dell’economia e della società ma è talmente svalorizzato da essere invisibile. Non abbiamo nel nostro DNA il gene del lavoro domestico e della cura;
- vogliamo che il lavoro educativo e di cura diventino una preoccupazione collettiva, un fatto di politica sociale e non solo individuale. Vogliamo più servizi e strutture di accoglienza per bambine e bambini, per persone anziane. Ma la politica attuale volge lo sguardo altrove e taglia i budget o porta alle privatizzazioni.
Concludo qui, con queste richieste del manifesto femminista condivise da tutte le donne che hanno organizzato lo sciopero, dal mezzo milione che vi ha partecipato e da tutte quelle che in quest’ultimo anno hanno portato sulle spalle il peso della pandemia, ribadendo che dobbiamo continuare con determinazione a rivendicare il riconoscimento del lavoro di cura e la sua condivisione.