Quattordici donne si sono alternate agli interventi di teatro per condividere riflessioni, letture, sfide!
Parole intime, parole mililtanti, parole sfidanti, parole irriverenti, parole rabbiose, parole ribelli.
Parole che formano i nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre azioni.
Ecco qualche testo:
Linda Cima Cairora, presidente dell’Associazione Armònia
A nome dell’Associazione Armònia, che con l’Associazione Consultorio delle Donne di Lugano si occupa di violenza domestica, colgo l’occasione per esprimere alcune riflessioni ed esigenze per quanto riguarda la problematica di cui ci occupiamo.
Negli ultimi trent’anni vi è stata una certa evoluzione sia a livello culturale sia a livello sociale e politico. La violenza domestica non è più considerata un fatto privato ma un reato perseguibile d’ufficio. Ricordiamo che
• è entrata in vigore la modifica della legge sulla Polizia che prevede l’allontanamento dell’autore;
• sono attive misure di tutela della personalità previste dall’Autorità civile;
• l’Ufficio dell’assistenza riabilitativa mette a disposizione degli autori un appartamento e offre loro consulenza.
L’istituzione di leggi e di servizi a protezione della donna ha quindi legittimato la richiesta d’aiuto delle donne e il nostro operare.
Si sono creati dei gruppi di lavoro interdisciplinare che hanno riflettuto e portato avanti dei progetti sulla problematica della violenza domestica e questo ci ha permesso di migliorare gli interventi.
Purtroppo, però, se consideriamo le cifre che appaiono sui media, ci rendiamo conto che la problematica si aggrava costantemente e che c’è sicuramente ancora molto da fare per affinare gli interventi, sia nostri che delle istituzioni.
Ogni attore, a dipendenza delle proprie competenze e responsabilità, deve studiare e comprendere maggiormente la problematica per poter intervenire in modo appropriato.
Sulla base della nostra esperienza riteniamo che si debba intensificare la prevenzione a diversi livelli, dalla famiglia alla scuola, sul posto di lavoro, con dei programmi specifici; in particolare, è importante poter avvicinare le donne molto prima che la violenza diventi pericolosamente distruttiva; riteniamo importante una miglior presa a carico degli autori; auspichiamo che le donne migranti che subiscono violenza domestica possano mantenere il permesso di soggiorno.
Approfitto della grande partecipazione a questa giornata per ricordare e informare che in Ticino sono presenti:
- due case di accoglienza (Casa Armònia per il Sopraceneri e Casa delle Donne per il Sottoceneri);
- due Consultori (Consultorio Alissa per il Sopraceneri e il Consultorio delle donne per il Sottoceneri)
- e un picchetto telefonico, attivo giorno e notte, 7 giorni su 7, non solo per l’accoglienza nella Casa, ma anche per informazioni inerenti alla problematica di cui ci occupiamo. Il numero di telefono lo si può trovare alla rubrica Emergenze dei nostri quotidiani o in Internet.
Le donne che vivono questo tipo di problematica, sappiano che non sono sole e che possono chiedere aiuto senza aspettare che la situazione peggiori e degeneri.
Demirci Güslüm
Care donne e amiche
oggi prendo lo spunto dalla recente pubblicazione di Michela Murgia dal titolo “Stai zitta”.
So che la conoscete ma mi è sembrato bello condividere qualche estratto qui perché la sua lettura è veramente piacevole e ricca di spunti.
Citerò alcune parti che mi sono particolarmente piaciute.
Sul linguaggio sessita, in copertina si legge:
“Se si è donna, in Italia – ma diciamolo anche in Svizzera e in tutto il Mondo – si muore anche di linguaggio. E’ una morte civile, ma non per questo fa meno male. E’ con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse…”
E al capitolo “Come hai detto che ti chiami?”, sempre a proposito di linguaggio leggo:
…” il sindaco donna – Un modo pratico di farvi sparire da un ruolo pubblico è quello di rifiutarsi di declinarlo secondo il vostro genere, sottintendendo che siete l’eccezione femminile di un norma maschile. Il rigetto della declinazione femminile ha alibi fantasiosi che studiose più preparate di me hanno ampiamente demolito.
Qui basta ribadire che il linguaggio è un’infrastruttura culturale che riproduce rapporti di potere. L’imposizione del cosiddetto maschile universale è un modo per dire che state occupando abusivamente il posto di un uomo, ma che questa anomalia durerà talmente poco che non vale nemmeno la pena di trovare una parola che la definisca. Alcune di queste donne convinte che i problemi siano ben altri, hanno rinunciato alla pretesa di vedersi declinare la carica secondo il proprio genere, salvo poi verificare a loro spese che dietro il rifiuto di rispettare la grammatica si nascondeva (nemmeno troppo bene) il rifiuto di rispettare loro….”
E cosa dire di questo, ossia del mettere “una donna” come titolo senza il nome?
….” una donna… è la dicitura più maschilista in assoluto, ma paradossalmente la più usata dai media….. una donna vince l’oro … il Nobel chimico per una donna .. una donna è a capo della polizia… I giornali italiani non riescono a dismettere lo stupore davanti al fatto che le persone di sesso femminile possano davvero fare bene qualunque cosa e forse è per questo che per raccontarle, usano una dicitura che cancella qualunque legame con la realtà: identità, competenza, ruolo. A contare rimane solo il sesso, che poi è proprio la ragione per cui la discriminazione di genere si chiama sessismo….”
Ma quello che ai miei occhi appare come dice Michela Murgia … “la mammizzazione delle donne che arrivano all’apice.
A proposto delle quattro scienziate che hanno ideato il tampone salivare si è scritto: …”le quattro mamme che l’hanno ideato..”
Michela Murgia dice….”Erano ricercatrici ovviamente. Dottoresse potremmo aggiungere senza temere di esagerare. Scienziate, a volerla dire tutta….. a capo del loro team c’era un uomo, ma di lui nessuno ha ritenuto di dover specificare se fosse padre o meno…”
…. “Uno dei casi mediatici più emblematici è quello dell’astronauta Samantha Cristoforetti. Quando andò in orbita per la prima volta non era madre e i giornali, che ritennero necessario sottolinearlo, per umanizzarla la definirono subito AstroSamantha…. nel 2017, quando Cristoforetti diede alla luce la figlia, i giornali la ribattezzarono però prontamente Astromamma….”
….”Sofia Corradi, ideatrice del programma di scambio studentesco internazionale dell’Erasmus, viene comunemente chiamata Mamma Erasmus..”…. Katalina Kalò che per prima ha messo a punto i percorsi anticovid basati sulla molecola dell’Rna è finita sui giornali come la Mamma del vaccino…
Termino con queste parole che dovrebbero stuzzicare interrogativi e riflessioni sul ruolo, uso ed etica del linguaggio con queste parole tolta da pagina 44 e 45… e che, nonostante lo spirito ironico, sanno trasmettere concetti di grande importanza.
… Ogni fondatrice, inventrice o scopritrice di qualcosa di rivoluzionario ne diventa immediatamente la madre, perché le buone idee maschili escono dalla testa, quelle femminili dall’utero….. Si può essere la zia del giallo inglese, le figlie del Sol Levante, le sorelline della moda, la nonna del vino italiano o anche le nipoti del femminismo……
…… Qualunque atto pubblico ben riuscito risulta in questo modo una proiezione in scala maggiore dell’unico lavoro che si pensa coorispnda all’essenza del femminile: la casalinga…
Nel capitolo “Stai zitta” ho trovato questo:
…”La donna socialmente gradita è una donna silenziosa, che diletta con qualunque arte, tranne quella oratoria….”
E nella parte finale di questo capitolo “Vuoi sempre avere ragione” ecco cosa si può leggere:
…” Come tutti, vorremmo da dire quando si sente questa frase. Quando discutiamo o difendiamo una posizione, chi vorrebbe avere torto?……. “
“…. Ma quando è una donna a sostenere il contraddittorio con un uomo, capita spesso che si senta rimproverare anche il fatto di riuscirci bene…”
Cecilia Herzig (pubblicato su LaRegione)
Cara donna
Io sono una donna e mi ammiro. Non è affatto scontato; ci vuole tanto tempo per imparare a piacersi. Quanti pomeriggi passati davanti allo specchio in cerca di un “sei abbastanza”. È difficile essere abbastanza al giorno d’oggi, soprattutto alla mia età. Col tempo ho imparato che bisogna essere abbastanza ai nostri occhi. Perché devono essere gli altri a definire chi sono? Io sono una donna e mi ammiro. Non m’importa dei giudizi altrui, non m’importa se non ho un viso perfetto, se non sono alla moda e se non piaccio. Io sono fatta così: estroversa, sensibile e un po’ testarda.
Non avere paura di essere te stessa. Piangere è giusto. Urlare è giusto. Tirare pugni al cuscino è giusto. Isolarsi con due auricolari è giusto. Sfogarsi è dannatamente giusto. L’importante è trovare la luce in fondo al tunnel e tornare a sorridere. Una grande donna, un giorno mi disse che, se avessi sorriso alla vita, lei avrebbe sorriso a me. Io sono una donna e mi ammiro. Sono una persona fragile e accetto anche le mie fragilità. Ammiro il fatto che io riesca ancora ad emozionarmi per dei semplici gesti. Nonostante ciò, cerco di migliorarmi ogni giorno. Cerco di imparare da tutto quello che mi succede. Voglio essere una brava persona e magari un giorno, ispirerò altre persone. So quanto sia difficile andare d’accordo con se stesse e so che spesso, anche se non lo ammettiamo, abbiamo bisogno di qualcuno che ci ricordi il nostro valore.
Cara donna, tu vali e nessuno può permettersi di dire il contrario. Sei bella anche con i tuoi difetti, insomma, quelli che gli altri chiamano difetti. Qual è il problema delle smagliature? Sono macchie di arte sul tuo corpo. Qual è il problema se non ti va di mettere tacchi e gonna? E qual è il problema se invece ti va di metterli? Sei una donna anche se il tuo corpo non è nato come tale. Sei tu a decidere chi vuoi essere e non devono essere gli altri a farlo per te. Amati. Amati perché sei unica al mondo, nessuno è come te ed è questa la tua forza.
Ammiro mia mamma perché ha cresciuto una ribelle come me. Ammiro la mia nonna paterna perché non si ferma mai ed è sempre pronta a correre ovunque ci sia bisogno. Ammiro mia sorella perché mi ascolta sempre e cerca sempre di aiutarmi. Ammiro la mia nonna materna perché ha affrontato la morte e ne è uscita vincitrice. Ammiro la mia migliore amica perché è la mia ancora e mi sostiene nonostante tutto. Ammiro anche te, che sei arrivata alla fine di questo testo e hai letto ciò che aveva da dire una quindicenne. Grazie.
Cristina Guardenghi
La mia lettura di oggi non proviene né da un saggio, né da un romanzo. Proviene da una pagina web/blog che si intitola “women of science” e che riporta le storie di donne che operano nei campi più disparati della scienza, della tecnica e dell’ingegneria. Perché vi racconto di donne di scienza? Prima di tutto perché le donne in questi settori sono ancora largamente sottorappresentate (globalmente sono meno del 30%, in Svizzera sono ancora meno, 22%). Questo è un problema, perché per far fronte alle sfide del futuro abbiamo bisogno di quanta più manodopera ed expertise possibile in questi ambiti, così come di punti di vista differenti, creativi e rappresentativi di tutta la società. Ma se metà della società non è rappresentata, abbiamo un problema. Inoltre, l’assenza di donne in questi ambiti è anche causa di parte delle disparità salariali a cui dobbiamo far fronte come universo femminile: le posizioni in questi settori sono meglio pagate rispetto ad altri ambiti, ma se non sono accessibili alle donne, questa ricchezza è distribuita solo alla parte maschile della popolazione. L’altro motivo per cui vi porto una lettura in questo senso è che anch’io provengo da questo mondo: mi sono appena diplomata in ingegneria ambientale e presto inizierò una nuova avventura accademica grazie a un dottorato. Mi piace dunque l’idea di coinvolgervi in questo mio mondo che trovo affascinante, e lo faccio leggendovi una testimonianza di Ulrike Träger, un’immunologa e ricercatrice al Centro tedesco di ricerca sul cancro.
“Amo la scienza. L’ho sempre fatto – a quanto pare ho cominciato a dire di voler di curare il cancro dall’età di cinque anni. Non ho mai pensato di non poterlo fare. Non ho mai visto limiti per quello che posso essere. Così, quando ho letto un recente articolo del Guardian in cui si affermava che “Le bambine di sei anni credono che la brillantezza sia una caratteristica maschile, secondo una ricerca sugli stereotipi di genere”, ho iniziato a pensare a me stessa e al perché non ho mai avuto lo stesso pensiero.
È stato grazie a grandi modelli di ruolo. Modelli di ruolo che ogni ragazza merita di avere.
Ho intrapreso la maggior parte della mia formazione scientifica in due laboratori diretti da donne. Sebbene le due scienziate fossero diverse per molti aspetti, ho imparato molto da entrambe. Ho imparato che si può avere una famiglia felice, pur essendo una scienziata di successo. Ho imparato che si può essere vista come una scienziata e non solo come una donna dai colleghi maschi in un ambiente altamente competitivo. []
I modelli di ruolo non devono essere per forza una capa – durante la mia tesi di diploma ho avuto l’aiuto di una brillante studentessa di dottorato che ho davvero ammirato. Durante il mio periodo di dottorato, altre dottorande e il modo in cui hanno affrontato il percorso di ricerca mi hanno insegnato molto. La comunicazione con le tue colleghe può davvero aiutare a superare i problemi che hai – come ad esempio come gestire il collega che non ti prende sul serio.
Ma tutto questo arriva troppo tardi per la bambina di sei anni che pensa che solo i ragazzi possano fare grandi cose. Gli stereotipi di genere devono essere infranti – presentando alle giovani ragazze una più ampia varietà di modelli di ruolo.
Cresciuta da una madre single, diplomata in ingegneria di precisione e che lavorava a tempo pieno, ho avuto a disposizione un grande modello di ruolo. Mi ha insegnato, con l’esempio, che le donne sono uguali agli uomini. Sono altrettanto intelligenti. Possono fare tutto ciò che fa l’uomo. Ma non tutte le ragazze hanno questo – abbiamo bisogno di una migliore rappresentazione nelle notizie, in televisione e nei social media.
Come donne in STEM Possiamo essere gli esempi di cui le giovani ragazze hanno bisogno. Siti come questo mostrano la diversità nelle STEM e danno alle giovani ragazze i modelli di ruolo che meritano. Possiamo agire sui social, partecipare alla prossima marcia del e dimostrare al mondo e alle ragazze di tutte le età che le donne sono forti e possono lottare per ciò in cui credono, anche le scienziate.
Pepita Vera Conforti (da https://naufraghi.ch/category/testimonianze/)
Ho scelto questa testimonianza pubblicata su naufraghi.ch all’indomani della sentenza per violenza carnale e coazione.
È notte fonda. Ripenso alla sentenza pronunciata ieri mattina dalla Corte di Appello e di Revisione penale che ha riconosciuto i reati per l’ex funzionario del DSS di coazione e violenza carnale ai danni della vittima.
Non riesco a dormire. Forse neppure la giovane donna che ha avuto il coraggio di denunciare. Forse neppure le molte donne che nel corso della propria vita hanno subito una delle molte forme di violenza di genere. Una donna su tre, si stima.
Turbinano ricordi dell’adolescente turbolenta ed esuberante che ero. 14 anni. Scoprivo il mio corpo che si trasformava, e con esso lo sguardo degli uomini. Le canzoni cantate a squarciagola parlavano di amore e passione. A scuola arriva un giovane docente e metà di noi ragazze è cotta di lui. Piacergli sembra la nostra missione. I complimenti rubati lusingano il nostro ego traballante e, anche se non ricordo con chiarezza le circostanze, un mercoledì pomeriggio assolato vado a trovarlo perché malato.
Mi apre, è in accappatoio. Poi mi sorprendo a trovarmi in camera sua. Si infila nel letto, è nudo. Sono impietrita. Mi fa avvicinare, mi spoglia e mi mostra il suo pene in erezione a cui avvicina la mia testa, invitandomi ad aprire la bocca. Eiacula subito. Vado in bagno, sputo. Lui mi accarezza la testa dicendomi che non c’è niente di male. Mi vesto veloce e esco.
La cotta per quell’uomo è passata all’istante. Non racconto a nessuno di quel pomeriggio. La pancia mi dice che c’è qualcosa di sbagliato in quello che è successo. Ma non so spiegare cosa. Ho archiviato l’episodio nella cartella mentale “esperienze sbagliate da dimenticare” ma quanto successo si chiama abuso sessuale, abuso di potere. Anni dopo, leggendo testimonianze di molestie, abusi e stupri, capisco che è la vergogna a segnare quel silenzio.
Già sentirsi lusingata da un suo complimento mi rendeva colpevole ai miei stessi occhi. Avevo interiorizzato l’idea che “me l’ero cercata”. Presto ho capito come evitare quella tipologia maschile, ne avvertivo quasi l’odore di predatore, affascinante narcisista manipolatore che in fondo, contrariamente a quanto dichiara, disprezza le donne e se non può usarle per il proprio piacere e interesse le umilia. Il piacere sessuale è un’altra cosa e può essere condiviso solo quando c’è consenso. La passione non è sopraffazione.
È questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli, come madri, come padri, come scuola, come società.
Grazie, giovane donna che hai rotto il silenzio. Sei stata ascoltata, sei stata questa volta creduta. Non te l’ho detto subito, perché avevo bisogno anch’io, dopo tanti, tanti anni, di non provare più vergogna.