Sembra una banalità dire che tutta l’umanità (donne e uomini) nasce da donna e che questo avviene mediante una gravidanza e un parto. Lo sappiamo già. Eppure, Adrienne Rich, una femminista americana storica, ha dovuto ricordarlo negli anni ’70 per dire che le donne, e solo le donne, hanno l’enorme potere di assicurare la continuità della specie. Si chiama “maternità”, parola venerata e scomoda allo stesso tempo.
Nei paesi dove contraccezione e interruzione della gravidanza sono legali, la maternità non è più solo un destino biologico, bensì (finalmente, e per ora) è il frutto di una scelta: avere figli o non averne, e quanti averne. Il problema è che da un po’ di anni le donne scelgono di averne sempre meno perciò sociologi e politici,preoccupati per il calo demografico, lanciano l’”allarme denatalità” e si interrogano sulle cause del fenomeno. Secondo la giornalista A. Bocchetti “…non fare figli è il giudizio più severo che le donne danno a questa società, alla sua organizzazione, alle scelte delle sue priorità…Questa è la guerra delle donne, che non è come quella degli uomini che fa morti. La guerra delle donne non fa più vivi.”
È forse in via di estinzione il desiderio di maternità?
Gli studi sembrano dimostrare che non è proprio così. Eppure,aumenta sia il numero di donne che non desiderano figli, sia di quelle che rinunciano a causa di una serie di ostacoli molto concreti e già ben noti: redditi e congedi insufficienti, scarsità di asili-nido, di alloggi accessibili, di orari flessibili ecc. Misure in cui la Svizzera, paese assai ricco, è molto in ritardo, ma che sono indispensabili per conciliare davvero lavoro e famiglia, per stare più tempo col neonato o la neonata nel primo anno di vita (e magari di allattare a richiesta, come raccomanda l’OMS) senza perdere il reddito e il posto di lavoro. Queste lacune trasformanola maternità in una corsa a ostacoli, un freno alla realizzazione professionale, un costo insopportabile, una fatica eccessiva o un lusso inaccessibile.
C’è un altro ostacolo alla natalità: la “violenza ostetrica”.
Anche l’esperienza del parto può interferire con la scelta delle donne. Uno studio dell’Ospedale universitario di Losanna rivela che circa il 30% delle donne ha un ricordo traumatico del parto, e uno studio della Scuola universitaria di Berna che il 27% ha subito una forma di coercizione durante il parto. Proprio così: la nascita, momento cruciale della maternità per la salute psicofisica della donna e del/la nascituro/a, nonostante la fatica e il dolore, può essere fonte di grande gioia e di empowerment, oppure di frustrazione e sofferenza. La conseguenza, come rivela la revisione di una dozzina di studi, è che un’esperienza traumatica del parto può provocare la rinuncia o il dilazionamento di un’ulteriore maternità, oppure la scelta del cesareo. Il medico e ricercatore Michel Odent ha notato empiricamente che nei paesi con i tassi di cesarei più elevati la natalità è drammaticamente ridotta: ad esempio a Taiwan, con oltre il 50% di cesarei la natalità è scesa allo 0,8%. Causa o conseguenza? Le eventuali correlazioni andrebbero studiate.
In realtà, salvo rischi o complicazioni (che richiedono un intervento medico provvidenziale), il corpo della donna sa partorire e il bambino sa nascere. Sono funzioni fisiologiche involontarie favorite o ostacolate dall’ambiente in cui si svolgono:richiedono fiducia, molto rispetto e massima intimità, condizioni favorite dall’accompagnamento di una levatrice di fiducia, l’esperta della fisiologia. Lo confermano le evidenze scientifiche e lo prevede la legge svizzera. Oggi invece la donna non vive sempre il suo parto da protagonista, e a volte subisce forme di “violenza ostetrica” (pur se involontaria o “solo” verbale). È un fenomeno generalizzato all’origine di nuove raccomandazioniOMS, di una risoluzione dal Consiglio d’Europa e di un recente rapporto dell’ONU. In campo giuridico si invoca la “giustizia riproduttiva”. Ma perché gravidanza e parto, pur non essendo malattie, nella nostra cultura sono quasi sempre medicalizzati?
La natalità è imbrigliata nella barriera fra pubblico e privato.
Angela Notari (autrice e attivista per i diritti delle mamme) osserva che sarebbe uno scandalo pubblico se il 30% dei passeggeri di una compagnia aerea scendesse ogni volta dal velivolo con un ricordo traumatico del volo, e sicuramente le autorità imporrebbero un cambiamento… Perché per il parto non succede? Il punto è che per la politica, tuttora impregnata di patriarcato, proprio la maternità, unica vera e irriducibile differenza fra maschi e femmine, è da secoli il pretesto per ogni forma di discriminazione delle donne. Perciò è da sempre relegata nella sfera privata, quella invisibile! Non è considerata una differenza da valorizzare, né un diritto da proteggere e nemmeno un lavoro da remunerare. Anzi, è un “potere femminile” da tenere sotto controllo come malattia… Patologizzare la libertà femminile è servito in passato per reprimere le donne non conformi al ruolo esclusivo di madri e spose: la diagnosi di isteria giustificava persino l’internamento. Oggi la “violenza ostetrica” deriva da una logica simile. Il risultato è paradossale. Secondo lo studio della SUP di Berna il 90% delle donne desidera un parto naturale e potrebbe sperare di viverlo come tale visto che per l’Ufficio Federale di Statistica solo il 10% delle gravidanze sono considerate ad alto rischio. Invece, sommando cesarei elettivi, induzioni, episiotomie, ventose, e uso di sostanze chimiche o ormoni sintetici, ecc. i parti veramente naturali rimangono un’infima minoranza… forse il 10-20%? È davvero questa la maternità che vogliamo? È una chimera o dev’essere un sacrificio?
La maternità è l’unico vero potere che abbiamo, riprendiamocelo.
Purtroppo, le pari opportunità non bastano per riequilibrare la condivisione simbolica del potere fra donne e uomini perché, come ci scrive Silvia Vegetti Finizi: “Mettere al mondo e crescere un figlio non è un processo lineare e paritetico ma modulare e specifico. Padre e madre non sono funzioni intercambiabili.” La maternità (parto compreso) è di tutti! Questo specifico potenziale delle donne è un bene comune da mettere al centro della sfera pubblica, un diritto da salvaguardare con urgenza, pena la denatalità. Non si possono indurre le donne a fare figli per salvaguardare le pensioni o per aumentare il PIL, e nemmeno costringerle a farli vietando l’aborto. Si possono solo rimuovere gli ostacoli, compresa la “violenza ostetrica”. Sta a noi femministe trasformare lo sciopero silenzioso della denatalità in una lotta consapevole per un’esperienza positiva di maternità e di parto, conciliabile con la realizzazione dell’identità professionale. Sono due progetti di vita paralleli e abbiamo diritto ad entrambi, difendiamoli anche il 14 giugno!
Delta Geiler Caroli – Associazione Nascere Bene Ticino