La persona migrante è infatti tra due mondi, generalmente molto diversi. E il passare da un mondo all’altro è un processo complesso che inizia con la decisione di migrare, una decisione che crea ansia dubbi, timori. Si lascia un mondo che si conosce per andare verso un altro, pieno di promesse ma anche di incertezze. Si porta con sé un bagaglio che forse sarà più difficile usare o che addirittura non servirà più perché potrà risultare ingombrante o superato nella nuova società.
Si arriva in un paese dove si è doppiamente straniere: non si conosce la lingua e questo crea isolamento, non si ha uno statuto giuridico e questo non permette di essere cittadine. L’inserimento diventa più difficile per la donna in un mondo del lavoro e in una società che la fa sentire tanto diversa. Le forze politiche di destra soffiano sul fuoco della differenza culturale, discriminano le persone e si battono per mantenerle ai margini, pronte ad espellerle quando non vi è più necessità di mano d’opera.
È fra queste realtà che pensiamo si muova la donna migrante. Ma sappiamo che anche lei, come noi donne nate qui deve coniugare lavoro, figli, cura della casa. Come noi, la donna migrante ha bisogno di scrollarsi di dosso i modelli culturali che l’uomo ha pensato per noi, in ogni parte di questo mondo, ancora troppo patriarcale.
Anche se il percorso di ogni persona e quindi anche di ogni donna e donna migrante ha una sua traiettoria, una sua identità, c’è qualcosa che ci accomuna tutte e tutti in questo nostro paese.
Le donne migranti e noi, con la propria sensibilità, sentiamo la necessità e il compito di marcare la nostra presenza, di fare sentire la nostra voce. L’affermazione dei nostri bisogni, l’esplicazione dei nostri desideri, il nostro sapersi situare tra prima e dopo, qui e altrove è una pietra miliare della lotta contro il patriarcato, in tutte le sue sfumature. È una lotta che va di pari passo contro il capitalismo e il suo modo di governare il mondo.
Non si può agire individualmente e non si può pensare che la nostra sensibilità di donne svizzere sia differente da quella delle donne migranti. Abbiamo solo una storia collettiva e individuale diverse.
Si dice che l’integrazione diventa realtà quando ci si sente accettati. Per accettarsi occorre parlarsi, capirsi, ascoltare e non giudicare. Per essere integrati, occorre il riconoscimento del lavoro che si produce con un salario adeguato e sappiamo che troppe donne, a parità di competenza, ricevono un salario inferiore a quello degli uomini.
L’integrazione ha bisogno di due forze, quella del migrante e quella di chi abita nel paese ospitante. Ha bisogno di rispetto reciproco, di consapevolezza che insieme si può fare molto, si può contribuire a costruire una società aperta, solidale.
Le donne migranti sono una grande risorsa in questo processo. Noi abbiamo tutte e tutti bisogno delle donne migranti per una società che rispetti ogni differenza, per un mondo costruito da donne e uomini per noi e per le generazioni future. Non lasciamoci intrappolare da ripiegamenti identitari e assieme diamo vita a nuove esperienze, superando le barriere imposte dal mercato del lavoro, dell’alloggio. Diamoci dignità, a tutte e tutti, indistintamente e indipendentemente dalle nostre radici.
Gülsüm Demirci